Somme incassate in contrassegno dall’impiegato di Poste Italiane: nessun peculato

La Suprema Corte di Cassazione, in tema di configurabilità del reato di peculato nel caso dell’appropriazione di somme di denaro da parte dell’impiegato di Poste Italiane addetto al servizio di poste “in contrassegno”, con sentenza del 13.11.2024, n. 41788 (testo in calce), ha statuito quanto segue: “Nel caso di specie, l’attività di documentazione compiuta dal ricorrente – relativa alla annotazione delle somme ricevute – valorizzata dalla Corte di appello al fine di ritenere sussistente la qualifica soggettiva di incaricato di pubblico servizio, non attiene al “servizio”, non riguarda l’attività propriamente amministrativa, non ha ad oggetto un’attività intellettiva, ma riguarda la verifica interna della regolare esecuzione dell’ordine di servizio e delle prescrizioni impartire dai superiori gerarchici: una documentazione del dipendente inerente al rapporto di lavoro e che non riguarda manifestazioni dichiarative o di volontà riferibili alla Pubblica amministrazione. Ne consegue, anche sotto tale profilo, che, esclusa la configurabilità del reato di peculato, i fatti devono essere riqualificati e ricondotti al delitto di appropriazione indebita”.

Ed invero, la Corte di Cassazione Penale, ha osservato come il servizio postale “in contrassegno” – in cui il destinatario paga al momento della consegna del pacco al corriere una somma che poi deve essere trasferita al mittente – non è un servizio svolto da Posta italiane in esclusiva: si tratta di un servizio svolto da diversi e numerosi corrieri in regime di concorrenza sul mercato. Dunque, un’attività che non porta l’effige della matrice pubblicistica di origine (dirigistica, organizzativa), che non rivela l’esistenza di un soggetto erogatore che non risulta in concreto sul mercato nella medesima posizione egli altri; un’attività rispetto alla quale non si coglie nessuna forma di condizionamento pubblicistico non solo – soprattutto – nel regime regolatorio, ma anche di organizzazione e di operatività del modello gestorio. Un’attività che si svolge liberamente sul mercato, da più soggetti, in regime di concorrenza. Dunque, nella specie, non si tratta della erogazione di un servizio pubblico.

E tuttavia, pur volendo ragionare diversamente e ritenere in astratto che il servizio di consegna di posta “in contrassegno” costituisca un servizio pubblico, nondimeno nella specie non è configurabile la qualifica di incaricato di pubblico servizio nei riguardi dell’imputato.

Ed infatti, l’attività dell’incaricato di pubblico servizio, secondo la definizione contenuta nell’art. 358 c.p., è disciplinata da norme di diritto pubblico, ma presenta due requisiti negativi in quanto manca dei poteri autoritativi e certificativi propri della pubblica funzione, con la quale è in rapporto di accessorietà e complementarietà, e non ricomprende le attività che si risolvono nello svolgimento di mansioni di ordine o in prestazioni d’opera meramente materiale.

Si tratta, dunque, di un un’attività di carattere intellettivo, caratterizzata, quanto al contenuto, dallo svolgimento di compiti di rango intermedio tra le pubbliche funzioni e le mansioni di ordine o materiale. Rileva l’attività dell’ente e, posto che questa abbia caratteri pubblicistici, quale sia in concreto l’attività compiuta dal soggetto.

“In tale contesto, mentre la sussistenza della qualifica di incaricato di pubblico servizio è stata riconosciuta nei riguardi di quei soggetti che, operando tanto nell’ambito di enti pubblici quanto di enti di diritto privato, siano risultati titolari di funzioni di rilevanza pubblicistica caratterizzate dall’esercizio del potere di adottare in autonomia provvedimenti conformativi dei comportamenti dei destinatari del servizio, con i quali l’agente instaura una relazione diretta …, quella qualifica è stata invece negata in relazione alla posizione, come nel caso di specie, di quei soggetti che, privi di mansioni propriamente intellettive, siano chiamate a compiere, nel contesto di quelle strutture, generiche attività materiali in esecuzione di ordini di servizio ovvero di prescrizioni impartire dai superiori gerarchici”.

Cassazione penale, Sez. VI, sentenza 13 novembre 2024, n. 41788.