La Corte di Cassazione Civile, sez. I, con la sentenza del 29 maggio 2024, n. 15029 (testo in calce) ha statuito quanto segue “in caso di fallimento omisso medio dell’imprenditore concordatario, il creditore istante ha diritto di richiedere l’ammissione al passivo sulla base del valore del credito originario e non dell’importo ristrutturato per effetto dell’omologazione“.
A tal proposito, secondo la Suprema Corte “il perno sul quale s’incentra la sentenza impugnata è dato dall’effetto esdebitatorio scaturente dall’art. 184 L.Fall. e dall’incidenza di esso sulla valutazione dell’insolvenza ai fini della dichiarazione di fallimento, in quanto, secondo la corte d’appello, il creditore concordatario non può proporre istanza di fallimento facendo valere l’intero suo credito e comunque, anche in relazione a quello in misura falcidiata, non si può apprezzare la sussistenza della situazione d’insolvenza prima della scadenza dei termini stabiliti per l’adempimento delle obbligazioni concordatarie”.
Sul punto, le sezioni unite di questa Corte (Cass., sez. un., n. 4696/22) hanno stabilito che indubbiamente con l’omologazione lo stato di insolvenza è definitivamente e irrevocabilmente assegnato alla ristrutturazione debitoria concordata e alle modalità satisfattive in essa contemplate. E tuttavia, hanno sottolineato, questa è cosa ben diversa dal precludere la dichiarazione di fallimento ogniqualvolta tali modalità risultino inattuabili nel corso dell’adempimento dell’accordo definitivamente raggiunto, così da attestare che lo stato di insolvenza persiste pur dopo la vicenda concordataria.
L’insolvenza, intesa quale fenomeno giuridico di sostrato economico, è sì rimossa dall’omologazione del concordato, ma nel senso che, da un lato, per effetto di questa, sul piano sostanziale essa non rileva più nella sua manifestazione d’origine ma, eventualmente, solo in quella rinveniente dalla mancata esecuzione del patto concordatario; e, dall’altro, sul piano processuale le precedenti istanze di fallimento non possono avere corso.
E allora, hanno rimarcato le sezioni unite, l’avvenuta omologazione, la chiusura della procedura concordataria e l’accesso del debitore alla fase puramente esecutiva dell’accordo (anche se sotto sorveglianza ex art. 185 L.fall. ) comportano l’applicazione dei principi generali di responsabilità; compresa, se dall’inesecuzione dell’accordo si debbano trarre elementi di insolvenza, la dichiarazione di fallimento: il favore per il concordato e per la sua missione preventiva non può spingersi oltre l’evidenza dell’impossibilità di esecuzione della proposta concordataria omologata.
Né l’impossibilità di esecuzione si concreta in una seconda insolvenza, poiché l’insolvenza resta quella che ha dato inizio alla procedura concordataria e che, all’esito di questa, si manifesta in forma addirittura aggravata dall’incapacità di soddisfare regolarmente le obbligazioni pur nelle più favorevoli modalità ed entità concordate.
Ciò a maggior ragione in considerazione del fatto che l’omologazione non comporta di per sé novazione dell’obbligazione anteriore, quanto soltanto il diverso e più circoscritto effetto della parziale inesigibilità del credito.
Cass. Civile, sez. I, sentenza del 29 maggio 2024, n. 15029.