Soddisfacimento “irrisorio” dei creditori: il beneficio dell’esdebitazione va accordato

Una volta che il debitore sia stato ritenuto “meritevole” ai sensi di legge, per l’esclusione di tutte le ragioni ostative soggettive e una volta escluso che la misura di quel soddisfacimento sia tale (“nummo uno”) da finire per coincidere, di fatto, con l’ipotesi più radicale dell’assenza di qualsivoglia soddisfacimento, la specifica e complessiva valutazione di tutti gli aspetti della procedura – ivi compresa, appunto, la destinazione di risorse al soddisfacimento dei crediti prededucibili – dovrebbe tendenzialmente impedire che il debitore resti escluso dal beneficio dell’esdebitazione per ragioni di ordine meramente quantitativo, indipendenti dalle sue condotte”: così è stato stabilito dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza del 6 Novembre 2024, n. 28505 (testo in calce).

Secondo il consolidato indirizzo nomofilattico, il cd. “requisito oggettivo”, cui è condizionato il beneficio della esdebitazione (e dunque l’inesigibilità dei crediti residui verso il fallito), richiede, ai sensi dell’art. 142, comma 2, l.fall., che i creditori concorsuali siano stati soddisfatti almeno “in parte”, e tale condizione s’intende realizzata, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata (e coerente con il favor per l’istituto già formulato dall’art. 1, comma 6, lett. a), n. 13 della legge delega n. 80/2005) anche quando taluni di essi non siano stati pagati affatto, risultando invero sufficiente che una parte dei debiti, oggettivamente intesa, sia stata pagata in sede di ripartizione dell’attivo, ed essendo rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito una valutazione comparativa della consistenza di quella “parte” rispetto a quanto complessivamente dovuto.

Si è poi ulteriormente precisato che, proprio alla stregua del riferito approdo nomofilattico, l’art. 142, comma 2, l. fall. dev’essere interpretato nel senso che, ove ricorrano i presupposti di cui al primo comma della norma (cd. “requisito soggettivo”), il beneficio dell’esdebitazione dev’essere concesso, a meno che (come del resto recita espressamente la norma) i creditori concorsuali “non siano stati soddisfatti neppure in parte”, e cioè siano rimasti totalmente insoddisfatti, ovvero, si è aggiunto – al fine di attribuire un contenuto fattuale alla nozione, di per sé vaga e generica, di “prudente apprezzamento del giudice” e, soprattutto, di scongiurare il rischio di valutazioni arbitrarie, con pronunce variegate sul territorio nazionale e magari difformi pur in presenza di situazioni identiche – siano stati soddisfatti in percentuale “affatto irrisoria”.

Ed invero, l’individuazione di quella parziale soddisfazione (che, al ricorrere degli ulteriori presupposti soggettivi, dà accesso al beneficio esdebitatorio) deve essere operata secondo un’interpretazione coerente con il “favor debitoris” che ispira la norma interna e, si è aggiunto, anche con il “favor” per l’omologo istituto unionale del discharge of debts di cui al Tit. III della direttiva Insolvency, che ha infatti indotto il legislatore nazionale ad eliminare il “requisito oggettivo” dalle “condizioni per l’esdebitazione” di cui all’art. 280 CCII).

Può dunque affermarsi che l’accertamento della natura “affatto irrisoria” in questione non debba (affatto) ridursi alla registrazione del dato percentuale del soddisfacimento dei creditori. E ciò non tanto perché il secondo comma dell’art. 142, comma 2, l. fall. si limita, innegabilmente, ad escludere il beneficio quando non vi sia stata soddisfazione alcuna (“neppure in parte”, laddove per “parte” in teoria potrebbe intendersi anche un solo euro), senza prevedere alcuna soglia o misura minimale di soddisfacimento; tanto che proprio su questa base è stata ritenuta inammissibile la relativa questione di costituzionalità (v. CASS. 16263/2020). Quanto, piuttosto, perché l’indirizzo nomofilattico di cui si è dato conto ha consegnato al prudente apprezzamento del giudice di merito una valutazione che non può ridursi ad una mera operazione “matematica”, ma deve abbracciare e discernere, anche comparativamente, tutte le peculiarità e le proporzionalità della singola procedura, secondo un’interpretazione che sia per un verso rispettosa di quel “favor” esplicitato dal legislatore (dapprima interno e poi unionale) e per altro verso costituzionalmente, unionalmente (ed ora anche evolutivamente) orientata.

Il debitore non può essere ostracizzato dal beneficio dell’esdebitazione a causa della scarsa consistenza del suo patrimonio (peraltro spesso dipendente anche dai risultati notoriamente poco soddisfacenti della liquidazione in ambito concorsuale), una volta che sia stato comunque escluso che quella minore entità sia il portato di sue eventuali condotte ostruzionistiche, negligenti, depauperatorie, fraudolente, distrattive o comunque penalmente rilevanti, la cui intercettazione è infatti affidata alla serie di requisiti ostativi elencati nel primo comma dello stesso art. 142  L.Fall.  (sostanzialmente corrispondenti a quelli recepiti nell’art. 280 , comma 1, CCII , salvo il profilo della “recidiva”), che ospita il cd. “requisito soggettivo”, sicuramente essenziale e preminente nella ratio dell’istituto (tanto da essere l’unico conservato nel CCII, che ha invece eliso proprio il “requisito oggettivo” in disamina).

Ciò che conta, in ultima analisi, è che il soddisfacimento dei creditori concorsuali non risulti meramente simbolico.

Cassazione civile, Sez. I, ordinanza 6 novembre 2024, n. 28505