“In caso di frazionamento della proprietà di un edificio, a seguito del trasferimento di alcune unità immobiliari dall’originario unico proprietario ad altri soggetti, si determina una situazione di condominio per la quale vige la presunzione legale di comunione “pro indiviso” di quelle parti del fabbricato che, per ubicazione e struttura, siano – in tale momento costitutivo del condominio – destinate all’uso comune o a soddisfare esigenze generali e fondamentali del condominio stesso, salvo che dal titolo non risulti, in contrario, una chiara ed univoca volontà di riservare esclusivamente ad uno dei condomini la proprietà di dette parti e di escluderne gli altri”: così ha statuito la Corte di Cassazione con ordinanza del 14 Novembre 2024, n. 29379 (testo in calce).
Nell’ordinanza in commento, la Suprema Corte ha confermato la conclusioni cui è giunta la Corte d’Appello, dovendosi confermare la destinazione a cortile dell’area attribuita alla proprietà condominiale.
Ed invero, la Corte d’Appello – come si è detto nella proposta – ha accertato l’assenza di caratteristiche strutturali idonee a dimostrare che l’area oggetto di causa potesse essere esclusa dal novero delle parti comuni dell’edificio, includendola di conseguenza nell’ambito di applicazione dell’art. 1117 c.c.
La Corte distrettuale, in particolare, ha evidenziato che l’area costituiva distacco tra gli edifici ed aveva primaria funzione di fornire luce ed aria agli edifici prospicienti; che essa non presentava caratteristiche strutturali idonee a superare il criterio attributivo della proprietà comune previsto dall’art. 1117 c.c.; che negli atti di vendita delle porzioni immobiliari delle parti non vi era alcuna esclusione della detta area; che il fatto che essa fosse stata adibita a parcheggio a favore della proprietà dell’odierno ente ricorrente non fosse decisiva, non essendo idonea a modificare le caratteristiche strutturali intrinseche del bene.
Tale interpretazione è conforme all’univoco principio di diritto in base al quale, in caso di razionamento della proprietà di un edificio, a seguito del trasferimento di alcune unità immobiliari dall’originario unico proprietario ad altri soggetti, si determina una situazione di condominio per la quale vige la presunzione legale di comunione “pro indiviso” di quelle parti del fabbricato che, per ubicazione e struttura, siano – in tale momento costitutivo del condominio – destinate all’uso comune o a soddisfare esigenze generali e fondamentali del condominio stesso, salvo che dal titolo non risulti, in contrario, una chiara ed univoca volontà di riservare esclusivamente ad uno dei condomini la proprietà di dette parti e di escluderne gli altri.
D’altra parte deve ribadirsi che nell’interpretazione dei contratti di diritto privato stipulati da enti pubblici, stante il requisito della forma scritta imposto a pena di nullità per la stipulazione di tali contratti, la volontà degli enti predetti dev’essere desunta esclusivamente dal contenuto dell’atto, interpretato secondo i canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., non potendosi fare ricorso alle deliberazioni degli organi competenti, le quali, essendo atti estranei al documento contrattuale, assumono rilievo ai soli fini del procedimento di formazione della volontà, attenendo alla fase preparatoria del negozio e risultando pertanto prive di valore interpretativo o ricognitivo delle clausole negoziali, a meno che non siano espressamente richiamate dalle parti; né può aversi riguardo, per la determinazione della comune intenzione delle parti ex art. 1362 , comma 2, c.c., alle deliberazioni adottate da uno degli enti successivamente alla conclusione del contratto ed attinenti alla fase esecutiva del rapporto, in quanto aventi carattere unilaterale.
Cassazione civile, sez. II, ordinanza 14 novembre 2024, n. 29379.