La Suprema Corte di Cassazione – Sez. Lav. – con la sentenza del 23 ottobre 2024, n. 27446 (testo in calce), in tema di licenziamento disciplinare per mancata trasmissione dei certificati medici durante l’aspettativa per malattia, ha statuito che “la deliberazione di concessione dell’aspettativa non retribuita già costituiva valida giustificazione dell’assenza per il periodo di 18 mesi”.
Ed invero, nella pronuncia in esame, la Corte di Cassazione precisa che “Il CCNL del Comparto sanità, pacificamente applicabile al rapporto, disciplina all’art. 23 le assenze per malattia, e al primo e secondo comma, prevede:”1. Il dipendente non in prova, assente per malattia, ha diritto alla conservazione del posto per un periodo di diciotto mesi. Ai fini della maturazione del predetto periodo, si sommano tutte le assenze per malattia intervenute nei tre anni precedenti l’ultimo episodio morboso in corso. 2. Al lavoratore che ne faccia tempestiva richiesta prima del superamento del periodo previsto dal comma 1, può essere concesso di assentarsi per un ulteriore periodo di 18 mesi in casi particolarmente gravi ovvero di essere sottoposto all’accertamento delle sue condizioni di salute, per il tramite della azienda sanitaria locale territorialmente competente ai sensi delle vigenti disposizioni, al fine di stabilire la sussistenza di eventuali cause di assoluta e permanente in idoneità fisica a svolgere qualsiasi proficuo lavoro”.
Ebbene, I periodi di assenza per malattia, salvo quelli previsti dal comma 2 del presente articolo, non interrompono la maturazione dell’anzianità di servizio a tutti gli effetti.
L’assenza del lavoratore in entrambi i casi è motivata dalle condizioni di salute, ma le assenze per malattia rientranti nel periodo di comporto e quelle del periodo di aspettativa sono disciplinate in modo diverso dal contratto collettivo.
Mentre, infatti, durante il periodo di comporto, nonostante l’assenza dal lavoro, continua a maturare l’anzianità di servizio e il lavoratore mantiene il diritto al pagamento della retribuzione – benché nella minor misura prevista – diversamente avviene nel caso di aspettativa, che per espressa previsione contrattuale interrompe la maturazione dell’anzianità e non è retribuita.
Occorre considerare che durante il periodo di aspettativa per malattia non retribuita è indubbio che il rapporto di lavoro entra in una fase di quiescenza (non matura l’anzianità di servizio), durante la quale l’unico diritto che residua in capo al lavoratore è quello alla conservazione del posto di lavoro per il periodo massimo di 18 mesi, e il periodo di aspettativa è concesso dal datore di lavoro solo dopo aver vagliato preventivamente la sussistenza di condizioni di salute “particolarmente gravi” e per un periodo predeterminato (non oltre 18 mesi). I certificati medici giustificativi, pertanto, sono prodotti, come nella specie, dal lavoratore e vagliati dal datore di lavoro prima di concedere il diritto ad assentarsi dal lavoro con conservazione del posto.
Va inoltre considerato che trova applicazione il principio di carattere generale, più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui nel caso di concessione di un periodo di aspettativa, successivo a quello di malattia, i limiti temporali per poter procedere al licenziamento per superamento del periodo di comporto devono essere ulteriormente dilatati, in modo da comprendere anche la durata dell’aspettativa.
Correttamente, quindi la Corte d’Appello ha escluso che la lavoratrice sia incorsa nell’infrazione disciplinare contestata, dell’assenza priva di valida giustificazione, perché la deliberazione di concessione dell’aspettativa non retribuita già costituiva valida giustificazione dell’assenza per il periodo di 18 mesi.