La Corte di Cassazione civile, sez. II, con la sentenza del 24.05.2024, n. 14575 (testo in calce), ha ribadito, così come puntualizzato dalle S.U. con la sentenza n. 6070 del 2013, che “dopo la riforma del diritto societario attuata dal D. Lgs. n. 6 del 2003, quando all’estinzione della società, nella specie di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico, si determina un fenomeno di tipo successorio: in conseguenza, l’obbligazione della società non si estingue, ma si trasferisce ai soci che ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione“.
Ed invero, così come rilevato nella sopra citata sentenza delle S.U., “la responsabilità dei soci trova giustificazione nel “carattere strumentale del soggetto società”: venuto meno questo, i soci sono gli effettivi titolari dei debiti sociali nei limiti della responsabilità che essi avevano secondo il tipo di rapporto sociale prescelto: in tal senso, limitare la responsabilità dei soci di società di capitali al valore dell’attivo loro distribuito con la liquidazione, non implica alcun pregiudizio alle ragioni dei creditori, perchè se la società è stata cancellata senza distribuzione di attivo, ciò evidentemente vuol dire che vi sarebbe stata comunque incapienza del patrimonio sociale rispetto ai crediti da soddisfare”.
D’altro canto, tuttavia, è necessario assicurare, ex art. 2740 c.c., alla garanzia dei crediti sociali – e, in conseguenza, al limite della responsabilità dei soci – qualunque bene distribuito, oltre il limite formale dell’apposizione in bilancio (Cass. Sez. 5, n. 9094 del 07/04/2017; Sez. 6 – 5, n. 14446 del 05/06/2017; Sez. 5, n. 22692 del 26/07/2023).
Ciò posto, la Corte di Cassazione in esame ha ampliato la responsabilità dei soci di una società estinta, rilevando che, al di là di quanto possa risultare dal bilancio finale di liquidazione di una società estinta, i soci rispondono, ex art. 2495 c.c., dei debiti della società estinta dando, altresì, rilevanza alle attribuzioni che abbiano comportato un’assegnazione ai soci di componenti attive del patrimonio sociale che avrebbero potuto soddisfare i creditori sociali, assumendo rilievo determinante il titolo in forza del quale è stata disposta l’attribuzione.
In particolare, “le erogazioni di denaro dei soci in favore della società possono essere effettuate per finalità tra loro molto diverse, a cui risponde una diversità di disciplina (conferimenti, finanziamenti, versamenti a fondo perduto o in conto capitale, versamenti in conto futuro aumento di capitale). In conseguenza, la qualificazione dipende dall’esame della volontà negoziale delle parti, dal modo in cui il rapporto è stato attuato in concreto, dalle finalità pratiche cui esso appare essere diretto e dagli interessi che vi sono sottesi e, in mancanza di una chiara manifestazione di volontà, dalla qualificazione che le dazioni hanno ricevuto nel bilancio” (Cass. Sez. I, n. 12994 del 15/05/2019).
Ebbene, secondo la sezione II della Corte di Cassazione in esame, “il versamento di danaro fatto a società di capitali dal suo socio “in conto capitale” non comporta il diritto del socio al rimborso, è iscritto al passivo dello stato patrimoniale tra le riserve e definitivamente acquisito al patrimonio della società… la distribuzione non costituisce un diritto soggettivo del socio perchè il diritto alla restituzione sussiste all’esito della liquidazione sociale solo ove vi sia un residuo da distribuire fra i soci, all’esito dell’adempimento di tutte le obbligazioni sociali, con una postergazione della restituzione al soddisfacimento di tutti i creditori sociali, esattamente come avviene per i conferimenti.
I finanziamenti in senso proprio, devono essere riportati al passivo dello stato patrimoniale fra i debiti verso i soci e devono essere effettivamente restituiti al socio; ai sensi dell’art. 2467 cod. civ., tuttavia, il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori, allo scopo di contrastare i fenomeni di sottocapitalizzazione nominale: potrebbe accadere che i capitali siano posti a disposizione dell’ente collettivo nella forma del finanziamento anzichè in quella del conferimento perchè possano artificiosamente classificati fra i prestiti “liberamente rimborsabili” al solo fine di poter procedere a distribuzioni preferenziali del patrimonio aziendale, in danno dei creditori“.
Corte di Cassazione civile, sez. II, sentenza del 24.05.2024, n. 14575