Licenziamento per assenza da malattia del lavoratore

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10640 del 19 Aprile 2024 (testo in calce) ha statuito che “quando il recesso del datore di lavoro è collegato ad assenze determinate da malattia del lavoratore, tanto nel caso di una sola affezione continuata, quanto in quello del succedersi di diversi episodi morbosi (cosiddetta eccessiva morbilità), lo stesso è soggetto alle regole dettate dall’art. 2110 c.c., che prevalgono, per la loro specialità, sia sulla disciplina generale della risoluzione del contratto per sopravvenuta impossibilità parziale della prestazione lavorativa, sia sulla disciplina limitativa dei licenziamenti individuali; ne consegue che il datore di lavoro, da un lato, non può recedere dal rapporto prima del superamento del limite di tollerabilità dell’assenza (cosiddetto periodo di comporto), il quale è predeterminato per legge, dalla disciplina collettiva o dagli usi, oppure, in difetto di tali fonti, determinato dal giudice in via equitativa, e, dall’altro, che il superamento di quel limite è condizione sufficiente di legittimità del recesso, nel senso che non è necessaria la prova del giustificato motivo oggettivo né della sopravvenuta impossibilità della prestazione lavorativa, né della correlata impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse (Cass. n. 1861 del 2010; Cass. n. 1404 del 2012; Cass. n. 24525 del 2014; Cass. n. 31763 del 2018)”.

Nella pronuncia in esame, la Suprema Corte di Cassazione ha ulteriormente ribadito che “il licenziamento per cosiddetto ‘scarso rendimento‘, (…), costituisce un’ipotesi di recesso del datore per notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore, che, a sua volta, si pone come specie della risoluzione per inadempimento, prevista dagli artt. 1453 e segg. Cod. civ. Si osserva infatti che, nel contratto di lavoro subordinato, il lavoratore non si obbliga al raggiungimento di un risultato ma alla messa a disposizione del datore delle proprie energie, nei modi e nei tempi stabiliti, con la conseguenza che il mancato raggiungimento del risultato prefissato non costituisce di per sé inadempimento, giacché si tratta di lavoro subordinato e non dell’obbligazione di compiere un’opera o un servizio (lavoro autonomo). Ove, tuttavia, siano individuabili dei parametri per accertare che la prestazione sia eseguita con la diligenza e professionalità medie, proprie delle mansioni affidate al lavoratore, il discostamento dai detti parametri può costituire segno o indice di non esatta esecuzione della prestazione(in termini: Cass. n. 14310 del 2015, in continuità con Cass. n. 2291 del 2013; Cass. n. 24361 del 2010; Cass. n. 1632 del 2009; Cass. n. 3876 del 2006; Cass. n. 10303 del 2005; Cass. n. 6747 del 2003; Cass. n. 13194 del 2003; Cass. n. 2448 del 2001; in materia di rapporto di lavoro degli autoferrotranvieri v. Cass. n. 10963 del 2018); in tal casolo scarso rendimento è caratterizzato da colpa del lavoratore“, (Cass. n. 16472 del 2015; Cass. n. 16582 del 2015; Cass. n. 17436 del 2015), per cui, avuto riguardo alle fattispecie concrete, occorre tenere distinte le ipotesi in cui ci si dolga della condotta del lavoratore cui si addebitano forme di inadempimento rispetto alla prestazione attesa dal datore, comunque ascrivibili alla sfera volitiva del dipendente, dando luogo al licenziamento cd. ontologicamente disciplinare, dai casi riferibili alle ragioni organizzative dell’impresa, che possono anche ravvisarsi in condizioni attinenti alla persona del lavoratore (Cass. n. 12072 del 2015) quali la sopravvenuta inidoneità per infermità fisica, la carcerazione (Cass. n. 12721 del 2009), il ritiro della patente o la sospensione delle autorizzazioni amministrative (Cass. n. 603 del 1996; Cass. n. 7638 del 1996; Cass. n. 6362 del 2000; Cass. n. 13986 del 2000), la mancanza del titolo professionale abilitante (Cass. n. 25073 del 2013), ma sempre che si tratti di circostanze oggettive idonee a determinare la perdita di interesse del datore di lavoro alla prestazione e che siano estranee alla sfera volitiva del soggetto, tali da non poter configurare, nella sostanza, un inadempimento comunque imputabile; in particolare, la sussunzione della fattispecie concreta nell’una piuttosto che nell’altra ipotesi normativa non può essere rimessa alla libera scelta del datore di lavoro, in virtù di un mero atto di qualificazione del recesso, svincolato dalla valutazione della concreta ragione posta a fondamento del licenziamento, sicché deve escludersi la sussistenza di un giustificato motivo oggettivo quando, a di là di ogni eventuale riferimento a ragioni relative all’impresa, il licenziamento è fondato su di un comportamento riconducibile alla sfera volitiva del lavoratore e lesivo dei suoi doveri contrattuali ed esprime pertanto un giudizio negativo nei suoi confronti (in termini: Cass. n. 18287 del 2012; in precedenza Cass. n. 326 del 1997 e, sulla nozione ontologica del licenziamento disciplinare, v. Cass. SS.UU. n. 4823 del 1987).

Cass. Civ. sez. lav. n. 10640 del 19 Aprile 2024