La Corte di Cassazione, con ordinanza del 23.09.2024 n. 25417 (testo in calce), ha statuito il seguente principio di diritto “in tema di giudizio di revocazione dei crediti ammessi allo stato passivo, il giudice, in ragione del carattere di necessaria pregiudizialità logico-giuridica della fase rescindente rispetto alla fase rescissoria, soltanto dopo aver accertato l’effettiva sussistenza del vizio dedotto, come il rinvenimento di documenti decisivi prima ignorati, e, dunque, pronunciato la revocazione del provvedimento impugnato, può e deve procedere, alla luce delle nuove e decisive prove documentali acquisite, al nuovo giudizio di merito in ordine all’esistenza e/o al contenuto del diritto sul quale la pronuncia impugnata aveva a suo tempo giudicato“.
Nell’ordinanza in esame, la Corte ha precisato che “nel giudizio di revocazione regolato dall’art. 102 L. Fall. , destinato a svolgersi in due fasi, e cioè quelle rescindente e quella rescissoria, non è possibile omettere gli incombenti di necessario espletamento attinenti alla prima fase; – “il giudizio di merito non può essere”, pertanto, “reso a prescindere delle risultanze della fase rescindente, fermo essendo che, ove risulti la decisività” dei documenti rinvenuti, “è solo il più ampio contesto probatorio e sostanziale, derivante dall’acquisizione degli elementi all’epoca non conosciuti, a costituire, senza possibilità di alternative, la base sulla quale tale giudizio, positivo o negativo che esso sia, deve necessariamente fondarsi”; – in un procedimento bifasico, come quello di revocazione, “le questioni attinenti alla fase rescissoria” non possono essere, quindi, trattate e definite “prescindendo dal preventivo accertamento dei presupposti contemplati dalla norma” dell’art. 102 L. Fall., che costituisce la “chiave d’ingresso” al giudizio di merito, da operare sulla base delle risultanze acquisite”.
La Corte, ha poi proseguito affermando che “il principio della “ragione più liquida” risulta “desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost., secondo cui la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione, anche se logicamente subordinata, senza necessità di esaminare previamente le altre, imponendosi, a tutela di esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, un approccio interpretativo che comporti la verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica e sostituisca il profilo dell’evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare ai sensi dell’art. 276 cod. proc. civ.” (tra le molte, Cass. n. 9309 del 2020). Tale principio, tuttavia, nel giudizio di revocazione (tanto in quello previsto dall’art. 102 L. Fall. cit., quanto, e più in generale, in quello disciplinato dagli artt. 395 ss. c.p.c.), non consente al giudice investito di tale impugnazione di respingerla (in nome, appunto, della ragione più liquida) sul rilevo che la domanda (o, come nella specie, l’eccezione) che sarebbe stata esaminata nella fase rescissoria, era, comunque, a suo dire, infondata”.
Ed ancora, “Il giudizio di revocazione previsto dall’art. 102 L. Fall. , in effetti, si articola (al pari di quello regolato dagli artt. 395 ss. c.p.c.) necessariamente in due fasi: una (iniziale e necessaria) fase rescindente ed una (successiva ed eventuale) fase rescissoria: – la fase rescindente, che ha per oggetto l’accertamento del denunciato vizio del decreto d’ammissione del credito allo stato passivo impugnato dal Fallimento (in ragione dei “documenti decisivi prima ignorati”), riguarda, evidentemente, la fondatezza di tale impugnazione in ragione della ritenuta sussistenza di uno dei relativi presupposti (e cioè, nel caso in esame, l’effettivo rinvenimento di “documenti decisivi prima ignorati”) ed ha, quindi, carattere di necessaria pregiudizialità logico-giuridica rispetto alla fase rescissoria; – la quale, nel solo caso in cui l’impugnazione per revocazione è ritenuta fondata per l’effettiva sussistenza dei presupposti a tal fine previsti (e cioè il dimostrato rinvenimento di documenti, prima ignorati, a carattere decisivo, e cioè astrattamente idonei, una volta acquisiti agli atti del giudizio, a formare, in ragione dei fatti costitutivi ovvero modificativi, impeditivi o estintivi ivi rappresentati, un diverso convincimento del giudice rispetto alla decisione in precedenza assunta circa la fondatezza o l’infondatezza della domanda proposta), consente, appunto, di rinnovare, una volta rimosso l’errore di fatto in cui (alla luce delle nuove e, appunto, decisive prove documentali acquisite) era caduto il precedente giudice, il giudizio di merito in ordine all’esistenza e/o al contenuto del diritto di credito sul quale la pronuncia impugnata aveva a suo tempo giudicato: come inequivocamente dimostrato dal fatto che, a norma dell’art. 402 , comma 1, c.p.c., “il giudice decide il merito della causa” soltanto dopo aver pronunciato “la revocazione” e, dunque, la caducazione della sentenza (o, come bel caso in esame, il decreto di ammissione) oggetto dell’impugnazione”.
“La revocazione, infatti, travolge completamente i capi della decisione che sono frutto (come si assume nel caso in esame) di errore di fatto (conseguente alla prospettata lacuna probatoria in ordine alla sussistenza di fatti decisivi per il giudizio circa l’an e/o il quantum del credito già ammesso), sicché il giudice della fase rescissoria, chiamato nuovamente a decidere (avendo riguardo, però, proprio ai nuovi documenti decisivi prima ignorati), deve procedere ad un nuovo esame della questione precedentemente decisa senza considerare le rationes decidendi sottostanti alla decisione revocata, procedendo, ai sensi dell’art. 402 c.p.c., ad un giudizio che, in ordine alle predette questioni, non costituisce la mera correzione sul piano logico-giuridico di quello precedente ma, in ragione della rimozione dell’errore di fatto che inficiava quest’ultimo, è del tutto nuovo e autonomo (Cass. n. 12215 del 2017; Cass. n. 2181 del 2001)”.