Timbrature badge aziendale per rilevazione presenze altrui: licenziamento legittimo

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza del 4 Novembre 2024, n. 28248 (testo in calce), ha confermato la legittimità di un licenziamento irrogato ad una dipendente per aver fatto timbrare il badge delle presenze ad un collega, attestando così falsamente e in maniera fraudolenta la propria presenza in ufficio.

La sezione lavoro della Suprema Corte di Cassazione, nel dichiarare infondati i motivi di ricorso della dipendente, ha affermato che “in sede di legittimità è stato più volte affermato che, in tema di licenziamento disciplinare, la necessaria correlazione dell’addebito con la sanzione deve essere garantita e presidiata, in chiave di tutela dell’esigenza difensiva del lavoratore, anche in sede giudiziale, ove le condotte in contestazione sulle quali è incentrato l’esame del giudice di merito non devono nella sostanza fattuale differire da quelle poste a fondamento della sanzione espulsiva, pena lo sconfinamento dei poteri del giudice in ambito riservato alla scelta del datore di lavoro”.

Nel caso in esame, quindi, la Corte territoriale si è limitata ad analizzare il comportamento addebitato e descritto sia nella nota di contestazione disciplinare che nella lettera di licenziamento (utilizzo fraudolento del badge aziendale in ordine alla rilevazione delle presenze), in relazione al quale la lavoratrice ha avuto tutte le possibilità di difendersi in sede disciplinare e di articolare, poi, le prove in giudizio a sua discolpa, a prescindere dalla errata indicazione della norma contrattuale collettiva violata che non ha assunto alcuna rilevanza sia in ordine ai diritti di difesa della incolpata sia nella coerenza e logicità del ragionamento decisorio dei giudici di merito che hanno ritenuto che i fatti addebitati comunque integrassero una ipotesi di giusta causa ex art. 2119 cod. civ.

Nella specie i giudici di secondo grado hanno ritenuto, attraverso un accurato esame di tutte le circostanze istruttorie, che queste militavano nel ritenere che tra la A.A. ed il B.B. vi fosse stato un accordo per fare risultare la presenza della prima in azienda in un orario antecedente a quello di effettivo arrivo nel giorno contestato, escludendo, altresì, che potesse essere ipotizzabile un mero errore di timbratura.

Nel caso de quo, la Corte, con un chiaro percorso logico-giuridico dal quale è possibile enucleare la ratio decidendi della pronuncia, ha valutato, come detto, sia la sussistenza, sotto l’aspetto oggettivo e soggettivo, del fatto contestato il 20.6.2019, unico episodio posto a base del licenziamento, sia la sua rilevanza disciplinare nonché la proporzionalità della sanzione irrogata rispetto ad esso stante il carattere di grave negazione dell’elemento della fiducia che impediva la prosecuzione del rapporto, non incorrendo, pertanto, in alcun vizio motivazionale come denunciato.

Cassazione civile, Sez. lav., ordinanza 4 novembre 2024, n. 28248