Validità del patto parasociale e rispetto del divieto del patto leonino

E’ lecito e meritevole di tutela l’accordo negoziale concluso tra i soci di una società azionaria, con il quale l’uno, in occasione del finanziamento partecipativo così operato, si obblighi a manlevare l’altro dalle eventuali conseguenze negative del conferimento effettuato in società, mediante l’attribuzione del diritto di vendita (c.d. “put“) entro un termine dato ed il corrispondente obbligo di acquisto della partecipazione sociale a prezzo predeterminato, pari a quello dell’acquisto, pur con l’aggiunta di interessi sull’importo dovuto e del rimborso dei versamenti operati nelle more in favore della società‘”: così ha statuito la Corte di Cassazione civile con ordinanza del 22 ottobre 2024, n. 27283 (testo in calce).

La Suprema Corte, preliminarmente, ha proceduto ad un sintetico inquadramento del patto parasociale, precisando che con l’espressione “patto parasociale” si intende quell’accordo contrattuale che intercorre fra più soggetti (di norma due o più soci, ma anche tra soci e terzi), finalizzato a regolamentare il comportamento futuro che dovrà essere osservato durante la vita della società o, comunque, in occasione dell’esercizio di taluni diritti derivanti dalle partecipazioni detenute. Il patto parasociale trova, quindi, il proprio elemento qualificante nella distinzione rispetto al contratto di società e allo statuto della medesima, in quanto realizza una convenzione con cui i soci attuano un regolamento complementare a quello sancito nell’atto costitutivo e poi nello statuto della società, al fine di tutelare più proficuamente i propri interessi. 

La validità di queste pattuizioni può dirsi in linea di principio assodata ed emerge, in modo ormai diretto, dalla previsione normativa dell’art 2341 -bis cod. civ., introdotto dalla Riforma del diritto societario del 2003, che prevede che non possano avere una durata superiore a 5 anni – salvo rinnovo – quei patti che “al fine di stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società: a) hanno per oggetto l’esercizio del diritto di voto nelle società per azioni o nelle società che le controllano; b) pongono limiti al trasferimento delle relative azioni o delle partecipazioni in società che le controllano; c) hanno per oggetto o per effetto l’esercizio anche congiunto di un’influenza dominante su tali società”.

Una previsione che implica il riconoscimento da parte del legislatore della meritevolezza e della tutelabilità dei patti parasociali, da ritenere dunque sempre validi, purché non si pongano in contrasto con i principi fondamentali dell’ordinamento in materia societaria.

Elemento caratterizzante del patto parasociale, per come tipizzato dal legislatore nell’enucleazione del regolamento di interesse che attraverso esso le parti stipulanti intendono realizzare, è che l’assetto obbligatorio in esso convenuto abbia come obiettivo uno dei due elementi caratterizzanti indicati nell’art 2341 -bis cod. civ. stabilizzazione degli assetti proprietari o del governo della società.

Tali finalità possono essere perseguite, quindi, anche tramite accordi che, in ogni modo previsti, abbiano per effetto una regolamentazione dei diritti patrimoniali ricadenti su un socio, di cui l’altro stipulante (socio o terzo che sia) si renda in qualsivoglia modo garante.

Nell’ordinanza in commento è stato ulteriormente precisato che un patto di opzione c.d. “put”, per effetto del quale l’acquirente acquista il diritto, ma non l’obbligo, di vendere un determinato bene a un prezzo specifico (Sez. 3, sent. n. 763 del 2016, cui di nuovo si rinvia), è qualificabile nell’ambito dei patti parasociali, se ha come obiettivo finale quello di stabilizzare l’assetto della partecipazione di uno degli stipulanti nel capitale della società.

In tali termini, il patto di opzione appare meritevole di tutela ai sensi dell’art. 1322 cod. civ., siccome è finalizzato ad “assecondare iniziative imprenditoriali specifiche, tutelate quali espressioni dell’autonomia negoziale privata ex artt. 41  Cost. e 1322 c.c., con il sorgere di reciproci diritti ed obblighi delle parti al cui adempimento un contraente non può strumentalmente sottrarsi invocando ex post e secundum eventum un preteso insussistente contrasto con norme imperative”.

Può, quindi, essere affermato che è valido e meritevole di tutela un patto parasociale che, attraverso un’opzione put, consenta ai soci di vedersi garantita la remunerazione del valore della partecipazione a un prezzo predeterminato.

Nel caso di specie, veniva lamentata la nullità del patto parasociale per asserita violazione del divieto del c.d. patto leonino.

In via generale, va osservato che il divieto di “patto leonino” è posto dall’art. 2265 cod. civ., secondo cui “è nullo il patto con il quale uno o più soci sono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite”.

Da notare, tuttavia, che la giurisprudenza di questa Corte da tempo ritiene che non rientrino nel divieto in parola quelle clausole che stabiliscono una partecipazione agli utili o alle perdite non proporzionale al valore della propria quota (si veda Sez. 2, Sent. n. 642 del 2000 secondo cui “Il cosiddetto patto leonino, vietato ai sensi dell’art. 2265 cod. civ., presuppone la previsione della esclusione totale e costante del socio dalla partecipazione al rischio d’impresa o dagli utili, ovvero da entrambi. Esulano, pertanto, da tale divieto le clausole che contemplino la partecipazione agli utili e alle perdite in una misura diversa dalla entità della partecipazione sociale del singolo socio, sia che si esprimano in misura difforme da quella inerente ai poteri amministrativi, sia che condizionino in alternativa la partecipazione o la non partecipazione agli utili o alle perdite al verificarsi di determinati eventi giuridicamente rilevanti”.

Quanto, infine, alla meritevolezza del patto di indennizzo nel caso di specie, oltre a quanto in via generale già considerato, mette ancora una volta conto rilevare che, per come le parti hanno concordemente riportato la vicenda, esso si inserisce in una più generale operazione di permuta, sicché il giudizio di va condotto alla luce non solo del “tipo” di operazione concretamente identificata (il patto di opzione put in sé astrattamente considerato), ma nel suo ineliminabile nesso funzionale con il raggiungimento degli interessi identificati dalle parti nel contratto di permuta, in relazione al quale l’odierna ricorrente, pur obbligandosi con il patto di opzione, ha per certo ottenuto in contropartita l’acquisizione della titolarità delle azioni trasferite per effetto del contratto stesso.

Tanto in astratto, quanto in concreto, va quindi escluso che nella specie il patto parasociale dedotto in lite abbia costituito una violazione del divieto di patto leonino.

Cassazione civile, Sez. I, ordinanza 22 ottobre 2024, n. 27283.